Marketing da bar: “purché se ne parli” è il modo migliore per farti dimenticare

Molte PMI credono che l’importante sia far parlare di sé. Ma viralità non è strategia. In questo articolo ti spiego perché purché se ne parli è un boomerang comunicativo.

Cosa trovi in questo articolo:

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Il mantra del purché se ne parli. 

C’è stato un tempo in cui dire qualcosa sopra le righe, scioccare, provocare, dividere, sembrava la via più rapida per emergere. Una trovata un po’ audace, un claim borderline, un meme ben studiato, e si finiva sulla bocca di tutti. 

Come se qualsiasi forma di attenzione fosse automaticamente un bene.

C’è stato un tempo e, nonostante tutto, continua a esserci.

Purché se ne parli piace molto alle PMI 

Nelle piccole e medie imprese italiane purché se ne parli è diventata una giustificazione comoda per qualunque azione di marketing virale. Anche quando manca strategia, etica o semplicemente buon senso. Ma il problema è che questo principio ha smesso da tempo di funzionare davvero.

La verità è che purché se ne parli non è una strategia: è un bias. Una scorciatoia mentale che confonde la visibilità con il valore, la viralità con la fiducia, l’intrattenimento con la reputazione. E nel momento in cui la curva dell’attenzione cala (perché cala sempre), quello che resta non è quasi mai positivo.

Basta guardare cosa è successo a Chiara Ferragni con il caso Balocco. Una narrazione ben confezionata che è sfuggita di mano e si è trasformata in un effetto boomerang comunicativo che ha messo in discussione anni di costruzione di immagine. E non parliamo di una PMI, ma di un brand che fino a poco prima era simbolo incontrastato di influenza e successo.

Se può succedere a lei, figuriamoci a una piccola impresa.

La reputazione si costruisce nel tempo, ma si può distruggere in un secondo. E ogni imprenditore che sceglie di affidarsi alla logica del purché se ne parli, oggi come oggi, sta giocando con un fiammifero acceso accanto a una tanica di benzina.

Purché se ne parli: le PMI non sono rockstar né multinazionali

Molti imprenditori dimenticano che le piccole e medie imprese non giocano con le stesse regole delle rockstar o dei colossi globali.

Una rockstar può permettersi lo scandalo. Una multinazionale ha i mezzi per affrontare una crisi reputazionale. Hanno fan, follower, fondi, avvocati, filtri. Hanno margine di manovra. Una PMI non sempre. Una PMI lavora a vista, margini bassi, spesso col fiato sul collo del mercato locale. Eppure, c’è ancora chi si convince che basti “far parlare di sé” per vendere di più.

La verità è che la visibilità non è una moneta universale. 

Serve una visibilità giusta, in linea con il proprio posizionamento di mercato e con l’identità dell’azienda. Altrimenti si rischia di attrarre attenzioni sbagliate, generare confusione, alimentare una reputazione online che lavora contro di te.

L’illusione della viralità come unica strategia

Nel marketing da bar, quello fatto di sentito dire e scorciatoie affascinanti, esiste un desiderio sexy inconfessabile (ma che tutti bramano): “Se divento virale, ho vinto”. 

Ma la viralità, per una PMI, è un’illusione ottica. Un miraggio che appare brillante finché non lo raggiungi, e scopri che non c’è nulla dietro.

Essere virali non significa essere rilevanti

Un contenuto può girare per giorni, essere condiviso ovunque, e non portare neanche un cliente. Perché la viralità, di per sé, non parla mai al target giusto. Parla a tutti indistintamente. 

Quando parli a tutti, non parli a nessuno.

Quando l’awareness negativa danneggia davvero (con esempi reali)

Per anni si è sostenuto che anche la cattiva pubblicità è comunque pubblicità. 

Ma in tempi di iperconnessione e memoria digitale collettiva, questo assunto è sempre meno vero.

Il caso Marmite vs Tesco in UK è emblematico. A causa di una controversia sui prezzi, il brand ha subito un’ondata mediatica fortissima. E se da un lato le vendite sono inizialmente cresciute, dall’altro i danni reputazionali sono stati immediati e misurabili: -23,7 nel “buzz score” (fonte: Marketing Week), 16 posizioni perse nel ranking della brand reputation, calo di 3,9 punti nell’intenzione d’acquisto. Purché se ne parli? Sì, ma intanto il danno è fatto.

In Italia, chi può dimenticare il caso Barilla negli USA, innescato da una frase infelice del CEO (probabilmente non voluta)? Un semplice commento ha attivato una valanga di comunicazione aziendale negativa e ha costretto l’azienda a una costosa operazione di repositioning per riconquistare la fiducia del mercato estero.

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Viralità ≠ conversione

Ripeti con me: far parlare di sé non è sinonimo di vendere. Una pubblicità che scatena polemiche, un contenuto virale che fa il giro dei social, un video che strappa milioni di visualizzazioni. Possono sembrare successi, ma per una PMI l’unico successo che conta è la conversione

Qualcuno ti sceglie → paga → ritorna.

Purché se ne parli si basa su un presupposto fallace: che l’attenzione generi automaticamente interesse e acquisto. In realtà l’attenzione è spesso effimera, distratta, disinteressata

Può portare clic, ma non clienti.

La viralità crea picchi di attenzione ma non costruisce automaticamente interesse. Non nutre una relazione. Non valorizza la proposta. Non offre motivi chiari per scegliere un brand rispetto a un altro.

La viralità per il marketing di una PMI non è una strategia efficace. È più una roulette: a volte porta visibilità, raramente risultati concreti e scalabili.

Cosa rischi quando diventi virale 

Responsabili marketing e vendite, gli stessi titolari di azienda, non considerano che purché se ne parli porta con sé la perdita di controllo sul messaggio.

Nel momento in cui la comunicazione diventa virale, non sei più tu a decidere cosa viene ricordato, come viene interpretato e da chi viene condiviso. Quel contenuto esce dal tuo perimetro. Il dado è tratto. E quando entra nei feed di chi non ti conosce, o peggio, di chi è fuori target, la narrazione si deforma.

Vieni commentato. Vieni interpretato. Vieni percepito. Nel migliore dei casi il tuo messaggio si annacqua. Nel peggiore, si trasforma in un boomerang comunicativo difficile da disinnescare.

Ecco perché ogni strategia di comunicazione efficace per PMI deve tenere conto della governabilità del messaggio, della coerenza narrativa e della capacità di contenere eventuali derive. Il marketing da bar può far ridere, incazzare, rattristare. Ma non fa vendere.

Il marketing efficace non cerca viralità, ma pertinenza

Nella comunicazione delle PMI, la visibilità senza direzione è solo rumore.

Un contenuto può raggiungere milioni di persone e non portare neanche una richiesta. Io stesso ho lavorato con e per questo processo. Nel tempo me ne sono pentito ma è servito a imparare un metodo diverso. Più sobrio e calibrato sul giusto target. Per generare vendite ripetute e relazioni durature.

Il punto è questo: non conta quante persone ti vedono, conta chi ti ascolta davvero.

Il marketing virale per PMI parte spesso dall’idea che “più è meglio”: più clic, più visualizzazioni, più condivisioni. Perché in questa “pesca a strascico” qualcuno resterà pure imbrigliato. Ma quando la visibilità è casuale, generica, o innescata da contenuti borderline, diventa difficile distinguersi in modo coerente e memorabile.

Chi sceglie il purché se ne parli come approccio, rischia di trasformare la propria azienda in un fenomeno passeggero. Chi invece lavora per essere rilevante per una nicchia precisa, costruisce un posizionamento che dura nel tempo.

La fiducia si costruisce, non si urla

Si può gridare “ti amo” ma sussurrarlo all’orecchio è più credibile. Non è mai successo che si generasse fiducia da una trovata brillante o con una polemica studiata a tavolino.

La fiducia nasce dall’allineamento tra ciò che prometti e ciò che offri, tra quello che dici di essere e come ti comporti davvero.

Nel marketing delle PMI, questo è ancora più vero. Nessuno sceglie un dentista, un idraulico, un negozio di fiducia o un consulente solo perché ha fatto scalpore online (prova a pensare all’azienda di servizi funebri Taffo). La brand reputation è fragile, ma anche costruibile. Serve pazienza, serve visione, serve misura.

Viralità o precisione? La scelta che fa la differenza

Una PMI ha bisogno di parlare con precisione, non con potenza. Più chirurgo, meno macellaio.Servono messaggi che arrivano a pochi, ma buoni. Giusti.

A chi è davvero pronto a comprare, non a chi scrolla solo per colmare un vuoto da noia. Affidarsi al purché se ne parli come via illuminata al mercato significa non avere strategia. Non avere un progetto. Nel web i famosi 15 minuti di celebrità si sono ormai ridotti a poche manciate di secondi.

Grazie per aver letto il mio approfondimento 🙂

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