Viviamo un mondo post-AI e i contenuti non ci mancano. Manca il coraggio di dire qualcosa che non sia stato già detto mille volte.
Viviamo in un’epoca in cui ogni professionista, ogni azienda, ogni PMI ha tra le mani strumenti potenti:
- ChatGPT
- Copilot
- Midjourney
- Canva
Bastano pochi prompt ben scritti per generare in pochi secondi un post LinkedIn che sembri firmato da un marketer di successo, una grafica pubblicitaria da manuale o un articolo di blog che rispetta tutte le regole SEO.
Ma se tutti possono fare tutto, cosa rende memorabile ciò che fai tu?
Il problema non è più produrre. È distinguersi.
Dire qualcosa di proprio in un contesto dove la tentazione di replicare è costante, pervasiva, comoda. È questo che rende il tema del posizionamento post-AI così urgente per chi fa impresa oggi.
Perché posizionarsi non è creare contenuti, è prendere posizione.
Non è riempire i canali, ma definire un’identità chiara, scegliere con cura le parole da usare e soprattutto quelle da evitare. È la capacità di disegnare contorni netti attorno a chi sei — e a chi non sei.
Nel regno delle repliche, l’unico atto sovversivo è l’originalità. E oggi, nel marketing, originalità non significa inventare da zero, ma saper rinunciare a tutto ciò che è indistinguibile. Solo così un brand — piccolo o grande che sia — può iniziare davvero a contare.
Il posizionamento non è un output, è una scelta (o una rinuncia)
Nel marketing non c’è neutralità. Ogni brand, anche quando tace, comunica qualcosa.
Il posizionamento non è il risultato di un prompt ben formulato, ma una scelta consapevole – e, forse ancor di più, una rinuncia lucida.
In un contesto saturo di output AI-generati, dove ogni contenuto può essere prodotto, corretto e replicato in pochi secondi, ciò che fa la differenza è ciò che decidi di dire o non dire. Chi scegli di servire o non servire. Quali partite giocare o non giocare.
È qui che la differenza tra generare e creare diventa sostanza.
Creare, nel contesto del posizionamento post-AI, significa costruire un’identità in grado di escludere tutto ciò che non ti rappresenta, anche se “funziona”.
L’intelligenza artificiale può aiutarti a scrivere uno slogan brillante, ma non potrà mai decidere:
- chi sei davvero come azienda;
- a chi vuoi parlare (e a chi no);
- quale visione hai del tuo mercato;
- perché dovrebbero scegliere te, e non un’alternativa simile, magari più economica.
Queste sono decisioni di posizionamento. Decidere significa anche saper dire di no. Rinunciare a una parte di mercato per conquistarne un’altra con più coerenza e più profondità.
Come disse Steve Jobs:
“Focus is about saying no.”
Nel mondo del posizionamento post-AI, dove la moltiplicazione dei contenuti ha livellato tutto verso il basso, la vera leva strategica è la direzione. E per averne una, non basta generare idee: serve sapere chi sei, e dove vuoi andare.
Omnicanalità evoluta: la presenza non basta, serve coerenza
Fino a pochi anni fa, essere presenti online “su più canali” era considerato un punto di forza.
Nel contesto del posizionamento post-AI, l’onnipresenza va rivalutata. È diventata commodity. Quello che fa la differenza è la coerenza narrativa, la riconoscibilità, l’esperienza fluida che accompagna l’utente da un canale all’altro senza creare dissonanze, frizioni o ambiguità.
Il tuo cliente passa da una storia Instagram al tuo sito in pochi secondi. Poi magari scrive su WhatsApp, chiede informazioni via email, commenta un post su LinkedIn e infine entra fisicamente nel tuo punto vendita o showroom. E si aspetta, ovunque, lo stesso tono di voce, lo stesso stile, la stessa identità.
Questo flusso continuo tra canali fisici e digitali – oggi chiamato phygital – impone alle PMI una riflessione profonda:
- quanta distanza c’è tra ciò che dici sul sito e ciò che fai al telefono?
- tra il tono delle tue email automatiche e quello del tuo customer service reale?
- tra la tua bio su Instagram e la presentazione commerciale che invii via PDF?
Il posizionamento post-AI non vive solo nelle parole di una homepage ben scritta o nel claim del tuo brand. Vive nella capacità di tenere insieme tutti i pezzi:
- la risposta rapida e umana su WhatsApp
- il tono coerente nelle email transazionali
- la fluidità informativa tra sito web e social media
- il supporto post-vendita gestito con intelligenza (umana, prima che artificiale)
Un’azienda può anche usare l’AI per automatizzare risposte, gestire flussi o generare contenuti. Ma se ogni punto di contatto sembra appartenere a un’azienda diversa, il posizionamento evapora. E con lui, la fiducia.
La vera omnicanalità non è “essere ovunque”. È essere se stessi, ovunque.
Piccoli brand, grandi scelte: chi si sta posizionando con successo in Italia
Nel marketing contemporaneo, distinguersi non significa gridare più forte. Significa scegliere con coerenza, anche quando quella scelta comporta delle rinunce. Alcuni brand italiani stanno dimostrando che il posizionamento post-AI non è un vezzo da multinazionali, ma una strategia concreta per chi vuole costruire fiducia, identità e differenziazione duratura.
Caso 1: Cortilia – il cibo come relazione, non come commodity
Cortilia non ha scelto la strada più facile.
Avrebbe potuto crescere attraverso accordi con la grande distribuzione, posizionarsi come “l’ennesimo e-commerce alimentare”, spingere sulle offerte e sulla logica del prezzo.
Invece, ha costruito il suo posizionamento su un’idea forte e non replicabile: il cibo come atto etico e relazionale.
Ogni messaggio, dalla homepage al packaging, parla di stagionalità, filiera corta, relazione tra cliente e produttore.
Non trovi volantini nei supermercati, ma una narrazione coerente che valorizza piccoli produttori, scelte consapevoli, abitudini alimentari sostenibili.
In un contesto in cui tutti possono generare storytelling visivamente perfetti, Cortilia ha scelto di non parlare a tutti, ma solo a chi crede che fare la spesa sia un gesto di responsabilità.
Questa è creazione di posizionamento.
Caso 2: WeRoad – non un’agenzia viaggi, ma un rito generazionale
WeRoad non vende solo viaggi. Vende appartenenza.
Ha evitato fin da subito di confondersi con i classici tour operator, scegliendo di parlare a un target preciso: giovani adulti in cerca di esperienze autentiche, relazioni, contesto.
I viaggi sono organizzati in piccoli gruppi, con un coordinatore, e ogni elemento della comunicazione è calibrato su un tono fresco, identitario, informale.
Ma il vero differenziale sta nella community: ambassador, eventi offline, contenuti user-generated. Chi parte con WeRoad non è un cliente: è un WeRoader.
Il sito, le campagne, le newsletter… tutto trasmette un “noi” preciso, riconoscibile, coerente.
Il risultato? WeRoad non compete sui voli, sugli hotel o sulle mete. Compete sul senso di appartenenza, su quella esperienza sociale di viaggio che un algoritmo non può generare.
No dati, no posizionamento. Ma senza realtà, i dati non bastano
In un’epoca in cui tutto può essere tracciato, è facile pensare che bastano i numeri per guidare il posizionamento. Ma non è così. Nel posizionamento post-AI, i dati sono alleati preziosi, non padroni della strategia. Servono per orientarsi, non per decidere al posto tuo.
Un brand si costruisce anche con istinto, esperienza sul campo, ascolto profondo del cliente. E i dati – se usati bene – non sostituiscono questo approccio, ma lo arricchiscono.
Strumenti utili per una lettura consapevole:
- Google Trends può dirti se i temi che stai toccando interessano davvero al tuo pubblico.
- Brand Lift ti aiuta a capire se le tue campagne stanno lasciando un’impronta o solo un’impressione.
- Net Promoter Score (NPS) ti offre una prima misura del tuo legame con i clienti, ma va sempre interpretato con attenzione.
- Customer Lifetime Value (CLV) e Customer Acquisition Cost (CAC) ti danno una fotografia della sostenibilità del tuo marketing, ma non raccontano tutto: non spiegano il perché un cliente si fida di te.
Più che misurare, serve imparare ad osservare
Oltre alle metriche, una PMI oggi ha bisogno di processi leggeri ma lucidi:
- Validazione: non correre a costruire landing page finché non hai ascoltato abbastanza il tuo mercato.
- Qualificazione del lead: fermati a capire se stai parlando davvero con il tuo cliente ideale o con chiunque.
- Esplorazione dell’offerta di valore: i tuoi contenuti raccontano quello che fai… ma comunicano davvero perché conti qualcosa?
Misura, sì ma con occhio critico e con i piedi piantati nel tuo mercato reale.