L’Importanza della Comunicazione, Intervista a Leonardo Dri

Quando si riflette su un argomento così delicato è meglio confrontarsi con un professionista. Ho chiesto a Leonardo Dri, consulente specializzato in leadership e problem solving, di definire l'importanza della comunicazione in poche domande. Il risultato? Un'intervista assolutamente da leggere.

Cosa trovi in questo articolo:

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I recenti avvenimenti di attualità mi stanno facendo sempre più riflettere sull’importanza della comunicazione per la nostra società.

Oggi siamo tutti iper-connessi. Produciamo un’enorme quantità di comunicazione. Postiamo, pubblichiamo, sentiamo l’impellente esigenza di “dire la nostra” nella maggior parte delle occasioni.

Quanto siamo consapevoli dell’importanza della comunicazione?

Sappiamo davvero cosa significhi comunicare?

Che si tratti di una chiacchiera tra amici, un confronto con un collega, uno scambio di cordialità con un parente. Siamo davvero consapevoli degli effetti che generiamo con la nostra comunicazione?

Ci facciamo caso o è piuttosto come salire a bordo di una vettura con il pilota automatico inserito?

Intervista a Leonardo Dri

Ho deciso di fare un paio di domande a Leonardo Dri che sull’importanza della comunicazione dovrebbe saperne qualcosa.

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Leonardo è un consulente esperto di Leadership, Problem Solving e Negoziazione. Ciò che mi ha sempre colpito del suo modo di comunicare è la capacità di farlo “pensando fuori dagli schemi tradizionali”.

Ma siccome non voglio dilungarmi e preferisco farti gustare questa splendida intervista, andiamo subito al sodo:

Quanto la capacità di comunicare determina un individuo? Sono un individuo migliore se riesco a comunicare meglio?

Partiamo subito con le domande esistenziali!

Alla prima parte è facile rispondere citando il primo assioma della comunicazione pragmatica: “non si può non comunicare”. Da qui è facile dedurre che la comunicazione è un tratto intrinseco dell’essere umano.

Se comunicare meglio ci rende migliori, immagino, dipenda tutto da cosa intendiamo per “migliori”. Sicuramente imparare a comunicare meglio mi rende più responsabile del mio comportamento, e di come esso influenza gli altri. Come uso tale responsabilità, però, dipende dalla mia etica personale!

Immagina di essere uno scienziato impegnato a trovare la formula della comunicazione efficace. Quali sono gli ingredienti di cui ti servi? Puoi svelarci le singole quantità per ciascuno?

Non devo immaginare di essere un uomo di scienza, lo sono! E chiedersi la formula della comunicazione efficace non è troppo diverso dal chiedere la forma di un coltello efficace.

Se devo usarlo per preparare il sushi avrà una forma diversa da quella che mi serve per tagliare la carne. E sarà ancora diverso se il coltello è destinato alla tavola, o all’uso di un bambino.

L’efficacia nella comunicazione ha a che fare con la capacità di raggiungere gli obiettivi comunicativi, e un buon punto di partenza per raggiungerla sono proprio gli assiomi della comunicazione pragmatica, elaborati da Paul Watzlawick.

Dato lo sviluppo tecnologico e la diffusione capillare delle informazioni, credi che oggi sia più facile comunicare rispetto a 30 anni fa?

Direi più facile per certi versi, più difficile per altri. Sicuramente la comunicazione virtuale abbatte barriere e permette di raggiungere molto più facilmente persone distanti, e in gran numero. D’altra parte, la virtualizzazione appiattisce la comunicazione.

Pensa, per esempio, a un’azienda che lavora con team da remoto. Da una parte questo è un valore aggiunto, perché permette il confronto di persone senza i tradizionali limiti di tempo e spazio dell’ufficio. Dall’altra, le relazioni da remoto si sviluppano più lentamente, e con legami più deboli.

Qual è l’errore fondamentale che ognuno di noi commette quando comunica con gli altri?

A meno che non ci educhiamo a farlo, quando comunichiamo con gli altri siamo molto più focalizzati su noi stessi, che sul nostro interlocutore. Vogliamo trasmettere le NOSTRE idee, vogliamo convincere sulle NOSTRE posizioni, vogliamo parlare di NOI stessi.

Già Zenone di Cizio, nell’antica Grecia, diceva che “abbiamo due orecchie e una sola bocca perché dovremmo ascoltare il doppio e parlare la metà”. Il fatto che cose del genere si dicano più o meno ininterrottamente da (almeno) duemila anni fa capire che questo è un problema fin troppo comune!

Credi esistano dei fattori comuni che uniscono la comunicazione in famiglia, in ambito professionale e quella commerciale?

Gli esseri umani sono sempre tali, in tutti i contesti in cui si trovano. Per questo motivo, i meccanismi di base che regolano la comunicazione sono sempre gli stessi. Un esempio?

La comunicazione analogica (VI assioma della comunicazione pragmatica) è quella che usiamo per emozionare le persone, sia che ci troviamo in un contesto di marketing (tutti hanno più o meno sentito parlare di “storytelling”), sia sia nel lavoro (quando si fa una presentazione che ha l’obiettivo di coinvolgere il pubblico, ad esempio), sia nel privato (come quando leggo una storia alle mie bimbe).

Le narrazioni, le metafore, insomma, gli artifici retorici che usiamo per rendere analogica la nostra comunicazione, non dipendono dal contesto in cui ci troviamo.

Qual è la chiave di una comunicazione efficace in un ambiente di lavoro?

Al contrario dei contesti famigliari, o dei gruppi di amici, le organizzazioni sono sistemi complessi, che sviluppano culture e sottoculture, e in cui le persone trascorrono una parte importante delle loro vite.

Purtroppo, tradizionalmente, le organizzazioni sono costruite come meccanismi, in cui le persone sono meri ingranaggi. In una metafora del genere la comunicazione trova poco spazio, e non è un caso se tutti coloro che hanno a che fare con strutture di questo tipo ne sono enormemente frustrati.

La mia personale area di studio e ricerca è proprio l’organizzazione aziendale, e se da una parte credo che il problema possa essere risolto strutturalmente solo ripensando le strutture organizzative, dall’altra mi rendo conto che spesso questo non sia possibile. In questo senso, il ruolo chiave è quello del leader, che può diventare agente di trasformazione, e valorizzazione dell’individuo.

Sul come dovrebbe (e non dovrebbe) comunicare un leader ho scritto un intero libro!

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Chi Comanda Qui? La scienza della leadership per guidare il team e l’organizzazione al risultato.
Il libro in prossima uscita di Leonardo Dri edito da Flacowski.

L’ascolto e l’empatia sono gli unici elementi a nostra disposizione per sviluppare una comunicazione efficace? O ci sono elementi ulteriori da tenere in considerazione?

Comunicazione è una parola che ha una sfera semantica incredibilmente ampia, e quindi saper comunicare in modo efficace è una disciplina sconfinata. Prendi me: penso di essere un buon negoziatore, e di capirne parecchio di leadership, ma non sono assolutamente uno specialista di comunicazione pubblicitaria, e neppure tramite video.

Mi piace pensare che la comunicazione sia un po’ come un albero. Ci sono le radici che affondano nella terra, e sono comuni alla comunicazione applicata un po’ in tutti i contesti. Empatia e ascolto per me sono due delle tante radici che costituiscono una buona comunicazione. Altre possono essere la capacità di fare domande, o di usare le parole giuste al giusto momento, o perfino la capacità di vestirsi bene.

Tutte queste sono competenze base. Togline una o due, e l’albero va in sofferenza, ma se ne togli troppe, l’albero muore. I rami, poi, sono le competenze comunicative evolute, che si nutrono di quelle di base. Qui metto la leadership e la negoziazione, ma anche la fotografia, il copywriting persuasivo e la vendita. Ora, se il tuo albero ha pochi rami molto lunghi, o tanti rami più corti, dipende dal tipo di pianta che vuoi essere.

Comunicazione efficace e comunicazione vincente: ci sono differenze? Con una comunicazione efficace è sempre possibile ottenere uno scenario
win-win?

Immagino dipenda dal gioco che stai giocando. In ambito negoziale, ad esempio, quello win-win è solo uno dei quattro equilibri possibili, e se da una parte possiamo comunicare per tentare di andare in questa direzione, dall’altra potremmo non esserne capaci, o potrebbe non essere proprio possibile.

Potremmo chiederci: quali sono i nostri obiettivi comunicativi in uno scenario lose-lose? Se li raggiungiamo la nostra comunicazione è stata sicuramente efficace.

Il personaggio di un eterno classico Disney recitava “Quando non sai cosa dire, è meglio che non dici niente”. Esistono davvero casi in cui è meglio non comunicare?

Il primo assioma della comunicazione recita che “non si può non comunicare”, poiché ogni comportamento ha valenza comunicativa.

Molti sottovalutano o temono il potere del silenzio nella comunicazione. Il punto, quindi, non è non comunicare, ma imparare a usare anche il silenzio tra i tanti strumenti comunicativi a nostra disposizione.

Credi che gli errori di comunicazione – soprattutto quando commessi da leader e personaggi di potere – possano causare situazioni dalle conseguenze irreversibili (ogni riferimento a fatti di attualità è puramente
casuale)?

Mi viene da rispondere che la comunicazione è sempre irreversibile, ma le persone, soprattutto le masse, hanno una memoria molto corta. Proprio di questi giorni è la grama figura di Salvini e della sua maglietta di Putin al confine polacco.

Questo, dal punto di vista comunicativo, sembra un atto forte, irreversibile. Ma le prossime elezioni sono lontane, e Salvini in passato ha mostrato l’intenzione di cavalcare l’emotività del momento dei suoi elettori senza un briciolo di ritegno.

Oggi Salvini si trova al suo minimo storico di consensi, e in questo senso i suoi peggiori nemici sono i suoi alleati di partito, che potrebbero non volerlo confermare come segretario alle prossime elezioni.

Attualità politica: Zelensky e Putin hanno generato reazioni emotive contrapposte. Il primo suscita solidarietà, il secondo crea distacco e avversione. Quanto il loro modo di comunicare influisce sull’opinione pubblica?

Come occidentali ci sentiamo sicuramente più vicini a Zelensky, sia per vicinanza geografica che per stile comunicativo.

Vale la pena ricordare, però, che anche Putin prima di questa guerra godeva di consensi decisamente ampi da parte del popolo russo, così come avvenne per Mussolini, Hitler, Franco, Hussein, e in generale tutte le figure dittatoriali della storia: raramente un dittatore è stato odiato dal suo popolo, durante la sua dittatura.

Questo dipende dal fatto che il dittatore è consapevole del ruolo dei media per controllare il popolo, e lo usa in modo che, come occidentali, troviamo intollerabile. Ma funziona, e dobbiamo prenderne atto.

Ringraziamenti

Ringrazio Leonardo per il piacevole intervento su un argomento così complesso e allo stesso tempo affascinante.

D’altronde la mente umana e i comportamenti che scaturiscono dalle sue elucubrazioni possono sì trovare spiegazioni scientifiche. Ma la strada per la sua completa conoscenza è ancora lunga e ricca di insidie.

Per conoscere meglio Leonardo Dri:

Grazie per aver letto il mio approfondimento 🙂

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