Quando si parla di brand e loghi, le due cose vanno spesso a braccetto.
Un’azienda, per potersi definire brand – non solo dal punto di vista tecnico e legale – deve riuscire ad associare la sua identità a un logo che la rappresenti.
Tuttavia, non sempre l’immagine che si accoppia a un determinato marchio, è frutto del lungo e complicato studio dei valori, della visione e della mission dell’azienda.
Anzi! Dietro ai brand e ai loro loghi, spesso si nascondono aneddoti, leggende ed episodi inimmaginabili. Ecco come hanno fatto 4 brand super-famosi, a ideare i loghi che oggi tutti noi associamo alla rispettiva azienda senza batter ciglio.
Mettiti comodo e leggi queste piccole ma affascinanti storie di brand.
Aspetta! Se ti va, prima di iniziare, ecco cos’è un brand e cos’è un logo
- Un logo (abbreviazione di logotipo; plurale “loghi”, dal greco λόγος – logos che significa “parola” e τύπος – typos che invece significa “lettera”) è la rappresentazione grafica, che solitamente rappresenta un prodotto, un servizio, un’azienda, un’organizzazione, un gruppo musicale o altro ancora (Fonte Treccani).
- Secondo la American Marketing Association il brand è “un nome, termine, segno, simbolo, o disegno, o una combinazione di questi che mira a identificare i beni o i servizi di un venditore o un gruppo di venditori e a differenziarli da quelli dei concorrenti”.
Lo Swoosh di Nike
Il logo della Nike è un qualcosa di universalmente riconosciuto. Non c’è bambino, bambina, ragazzo, ragazza, uomo o donna sulla faccia della terra che non riconosca istantaneamente la celebre icona dal nome Swoosh.
Per alcuni è un baffo, per altri una saetta, per altri ancora un simbolo di spunta. Potrebbe essere il preciso lavoro di proiezioni prospettiche di un attento graphic designer. Forse non è un’immagine immediatamente riconducibile a qualcosa di concreto ed esistente. Ma il primo logo della Nike porta con se una storia singolare sulla sua creazione.
Se ti dicessi che il famoso Swoosh della Nike è costato all’azienda appena 35 dollari, ci crederesti? Il logo è stato ideato nel 1971 da una studentessa della Portland State University, Carolyn Davidson, che allora aveva 28 anni.
È lo stesso fondatore della Nike, Phil Knight, a raccontare nel suo libro autobiografico, L’Arte della Vittoria, come andarono esattamente le cose. Phil conobbe Carolyn per caso all’università mentre teneva un corso di contabilità. In quegli anni non esisteva ancora la Nike. L’azienda di scarpe guidata da Phil Knight era la Blue Ribbon Sports, che distribuiva in America le scarpe giapponesi della Onitsuka Tiger. Dovendo iniziare a vendere scarpe di produzione propria, aveva bisogno di un brand.
Ci pensò la studentessa Carolyn, che già collaborava con la Blue Ribbon per lavori saltuari di grafica e stampa, a ideare il logo e quello che è poi diventato lo Swoosh. L’unico input che ricevette da Phil Knight in persona fu: “(voglio) Qualcosa che evochi una sensazione di movimento“. Pare abbia centrato il target!
Bisogna fare attenzione a non unire il lavoro fatto sul logo da quello scaturito per il naming del brand. Che è comunque altrettanto casuale. Il nome Nike fu suggerito da Jeff Johnson, uno dei primi venditori della Blue Ribbon, a cui apparve in sogno Atena, la dea alata della vittoria, Nike per l’appunto.
A dire il vero la scelta fu presa in un momento concitato, quando la produzione delle nuove scarpe era già partita. E il grande capo, prima di farsi convincere dal naming Nike, era ormai deciso ad adottare il nome “Dimension Six” . 🤮
Infine, il claim “Just Do It”, accostato successivamente al logo, fu ispirato dalle parole di Gary Gilmore, un serial killer dello Utah che venne condannato a morte nel 1977 per aver derubato e ucciso due uomini. Gilmore avrebbe esclamato la frase “Let’s do it” poco prima della sua esecuzione.
Oggi Just Do It è forse il payoff più famoso nel marketing. Classificato tra i primi 5 slogan pubblicitari del 20° secolo. A raccontare la sua macabra origine è stato Dan Wieden, l’uomo che inventò il claim per la campagna di marketing Nike del 1988.
Oggi il lavoro di Carolyn Davidson varrebbe circa 200 dollari (allora venne pagato circa 2$ all’ora per 18 ore complessive). Mentre il valore del brand Nike è di oltre 30 miliardi di dollari.
Carolyn lavorò per la Nike fino al 1983 ma l’azienda mostrò grande riconoscenza per il suo lavoro profetico. Venne infatti congedata con i più sentiti ringraziamenti con un anello di diamante a forma si Swoosh e una busta con un certo numero di azioni della più famosa azienda di abbigliamento al mondo.
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La Mela morsicata di Apple
Anche il logo Apple è circondato da un’aurea di mito e mistero. Al limite del misticismo. Non potevi aspettarti qualcosa di diverso, giusto?
8 giugno 1954. Alan Turing viene ritrovato morto nella sua camera da letto dalla sua domestica. Accanto a lui, una mela morsicata intrisa di cianuro di potassio. Forse la mela addentata, disegnata da Rob Janoff nel 1976, è un romantico omaggio al padre dell’informatica?
Una tesi davvero affascinante, tuttavia smentita dallo stesso designer. In una sua intervista del 2009 l’ha definita “una meravigliosa leggenda urbana”. Dunque che cosa rappresenta davvero il logo Apple? Perché proprio una mela?
Sempre Janoff, conferma che non c’è alcun riferimento al frutto proibito di Adamo ed Eva. E nemmeno alla parola byte, che indica l’unità di misura informatica, ma allo stesso tempo si pronuncia come bite, in inglese “morso”.
Se dovessimo seguire i fatti, la storia vuole che il primo logo Apple fosse disegnato nel 1976 da Ronald Wayne. Un vero e proprio disegno in bianco e nero più adatto ai supporti stampati che al branding e a lavori di grafica vettoriale.
Riesci a vedere la mela in questo logo?
Steve Jobs non impiegò molto tempo per assoldare un nuovo grafico e commissionare il lavoro di re-branding a Rob Janoff. Le indicazioni di Steve Jobs furono semplicemente: “Realizza qualcosa di più moderno“.
Qui rientra in gioco la leggenda. Secondo la quale Janoff trovò l’ispirazione per il nuovo brand Apple, tagliando delle mele e disponendole sul tavolo per osservarle. Ecco che nacque allora la famosa “mela morsicata” di Apple Computer, che sarebbe diventata ben presto uno dei loghi aziendali più iconici e riconoscibili della storia.
Ma davvero non c’è nessun significato dietro il simbolo della mela di Apple? Perché un’azienda che vende computer dovrebbe avere una mela come logo del brand?
Qualcuno ha provato a dare delle risposte:
- alcuni dicono che Steve Jobs scelse il nome (e il logo) Apple in onore ai Beatles, di cui era un grandissimo fan. Devi sapere che Apple era la casa discografica fondata dalla band inglese nel 1968;
- altri sostengono che il nome fu scelto perché la mela era considerata il frutto perfetto e si voleva trasmettere l’idea di perfezione dei prodotti Apple;
- alcuni hanno ipotizzato che la mela arcobaleno rappresentasse simbolicamente la comunità gay, ricollegandosi all’omosessualità di Alan Turing;
- la mela fu scelta personalmente da Jobs in quanto da giovane lavorava nei frutteti di mele dell’Oregon e decise quindi di chiamare la sua neonata azienda come la sua marca preferita di mele, McIntosh.
Nell’intervista del 2009 Janoff confessa: «Quando spiego la vera ragione per cui decisi di aggiungere un morso alla mela provoco una sorta di delusione. Ma ve lo dirò. Ho disegnato la mela con il morso per questioni di scala, in modo che la gente capisse che quella era una mela e non una ciliegia. C’era anche un aspetto iconico nel dare un morso ad una mela. Qualcosa che tutti possono provare, che va oltre le culture.»
Forse ne io ne te sapremo mai quale sia la verità dietro il logo Apple. Ma la sua evoluzione non cela alcun segreto e ancora oggi, il suo logo è ben impresso nell’immaginario del consumatore.
I Golden Arches di McDonald’s
Ho sempre pensato che il logo di McDonald richiamasse due patatine fritte ricurve che si intersecano tra loro. Divertenti associazioni mentali o lavorazioni elaborate del subconscio?
Forse lo sai già, ma l’origine del logo Mc Donald’s è di tutt’altra natura. Tutto ha inizio con gli archi dorati, i Golden Arches, voluti dai fratelli Mc Donald.
Già nel 1952, i ristoranti McDonald si presentavano con un’insegna esterna formata da due arcate dorate laterali. Secondo l’architetto Alan Hess, l’idea iniziale degli archi d’oro risale a un disegno stilizzato di Richard McDonald, uno dei due fratelli fondatori degli omonimi ristoranti.
Il disegno stilizzato, più volte lavorato dietro consiglio di alcuni architetti, raffigurava appunto due archi dorati. L’obiettivo di Richard e Maurice McDonald, era quello di catturare l’attenzione del cliente, come a dire “Hey! Ci sono due archi dorati qui. Fermiamoci a mangiare!“.
Nel 1961, quando Ray Kroc acquistò McDonald, interpellò il direttore creativo Jim Schindler per un restyling del brand. Quest’ultimo si ispirò proprio alla riconoscibile struttura dei fast-food sparsi per le strade d’America per creare il nuovo logo McDonald’s.
Quello che oggi conosciamo come uno dei marchi più iconici al mondo nasce esattamente da una visuale prospettica di un ristorante McDonald: i due archi gialli allineati a formare una sorta di “M” e il tetto a bisettrice riproducono un ristorante della catena stilizzato visto dalla strada.
È affascinante come il punto di forza del logo McDonald’s risieda nel “punto vendita”, e non nel prodotto. Non trovi?
Con gli anni ’70, i Golden Arches sono diventati un’icona inconfondibile e rappresentano ancora oggi il brand McDonald’s. Nel corso degli anni, le due arcate dorate tagliate da una linea, sono state semplificate ulteriormente nel logo più slanciato e minimale che conosciamo oggi.
Il Sorriso di Amazon
Il mito racconta che Jeff Bezos fondò la sua nuova società di vendita di libri online dal garage di casa sua, a Bellevue, periferia est di Seattle. Il nome con cui chiamò la sua neonata azienda non è quello che tutti oggi conosciamo.
Si chiamava Cadabra. Il nome doveva far pensare alla facilità di acquisto e alla velocità di consegna a domicilio, esattamente come pronunciare la formula magica “Abracadabra“. Per sua fortuna, Bezos si accorse immediatamente del poco appeal che trasmetteva questo nome e decise di cambiarlo con Amazon.
Cosa fece cambiare idea a Jeff Bezos? Anche in questo caso la mitologia giunge in nostro soccorso. Si narra che, in sede di registrazione della società, l’avvocato che si occupava della pratica, non capì bene il nome Cadabra, confondendolo con “Cadaver” (in inglese cadavere). Bezos capì immediatamente che una società che consegna cadaveri a domicilio in un lampo, non era esattamente il business che aveva in mente di lanciare.
Da cosa deriva il nome Amazon? La seconda scelta, nettamente più fortunata della prima, cadde su Amazon. E fu un vero e proprio colpo strategico.
Prima di tutto, Bezos era convinto che utilizzare un nome con la prima lettera dell’alfabeto potesse essere conveniente sotto diversi aspetti: Sarebbe risultato nei primi posti degli elenchi e delle directory online.
In secondo luogo, il nome si ispira al fiume più lungo del mondo, il Rio delle Amazzoni, che attraversa Perù, Colombia e Brasile e sfocia nell’Oceano Atlantico. In questo caso, l’assonanza con i personaggi della mitologia greca – Le Amazzoni – ha poco a che vedere con l’origine del marchio.
Nei primi tempi, il logo di Amazon si presentava con la lettera “A” in nero e grassetto da cui spunta una strada bianca al centro di essa. Sotto l’immagine compariva il nome completo dell’azienda scritto in piccolo e per esteso. La strada doveva indicare la lunga via del commercio. I colori bianco e nero avevano l’obiettivo di infondere sicurezza e fiducia.
Significativo ma un po’ troppo banale, non trovi? Da allora il logo di Amazon è lentamente cambiato fino agli anni 2000. Quello attuale, può apparire semplice e ordinario. Tuttavia nasconde più di un significato. La freccia arancione, inizialmente una semplice linea gialla che sottolineava il brand Amazon, guardata con attenzione rivela un sorriso.
Si allude a quello del cliente soddisfatto del servizio offerto da Amazon. Questo trasmette un senso di positività e cortesia. Se ci fai caso, parte dalla lettera “A” e punta sulla lettera “Z”, a significare che sul proprio portale si trova di tutto, dalla A alla Z appunto.
In questo caso, l’evoluzione del logo deriva da uno studio semantico e neurologico un po’ più approfondito!
E tu conosci qualche altra storia misteriosa o affascinante per questi brand o altri marchi famosi? Raccontamela qui nei commenti!